Se hai visto il video dell’altro giorno in cui parlo di Olimpiadi e mental coach avrai ascoltato come dal mio punto di vista il coaching non è mai qualcosa di ‘mentale’. Soprattutto quando lavoro con un’atleta o con qualcuno che deve generare performance di eccellenza come un musicista o un attore.
Per me la maggior parte del lavoro di coaching viene fatta con l’intenzione di portare la persona con cui sto lavorando ad un livello di ‘reset’ in cui il suo sistema è completamente aperto e pronto per ricevere informazioni dall’esterno. Quando sono così le persone sperimentano una notevole differenza nel modo in cui pensano, prendono decisioni molto velocemente (quella palla la lascio uscire perchè è fuori o la colpisco perchè è dentro?) e sono capaci di processare un numero di informazioni molto più alto e più rapidamente. E’ come avere un microprocessore più potente e veloce, se volessi fare il paragone con i computer.
E’ come uno ‘stato di picco’ o di flusso, ma più potente e generato molto più velocemente. Qualcosa in cui agisci ma non ti sembra neanche di agire.
Ed è qualcosa che succede non solo nello sport… succede ogni volta che c’è una performance: se devi nuotare la finale dei 200 metri o se devi cantare il Rigoletto alla Scala. Quando sei in questo stato la performance diventa ‘leggera’ e paradossalmente senti di avere tutto sotto controllo.
Una delle caratteristiche di questa posizione è che… arriva tutta insieme: quando è presente è presente e la persona è una persona diversa da quando non c’è.
Molto spesso i ‘mental coach’ classici lavorano sui vari problemi che l’atleta con cui lavorano ha, scomponendoli e frammentandoli in pezzi più piccoli e gestibili. Questa è una cosa ottima in molti casi, ma tantissime altre volte impedisce di funzionare come qualcosa di ‘unito’: funzioniamo come un meccanismo dove sono stati risolti tutti i problemi piuttosto che come un organismo che sta generando una performance perfetta.
C’è un’altra idea che voglio condividere con te e che è importante secondo me quando si parla di performance e sport, come in questo caso.
Una delle cose più interessanti che ho scoperto lavorando con le persone quando generano risultati di eccellenza è che portano attenzione alla loro performance e non solo a come si sentono mentre compiono la performance. Per fare questo devono decidere una serie di indicatori esterni per decidere se stanno andando bene e che utilizzano in aggiunta alle sensazioni che hanno mentre performano. E questi criteri che utilizzano sono i propri criteri, non quelli decisi da altri.
Alla prossima!
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